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Un buon matrimonio può significare molte cose per una donna: il successo nella vita sociale grazie al sospirato raggiungimento di un certo status, l'ostentazione smaccata di argenteria, gioielli di famiglia, vestiti firmati, antiche dimore con piscine e lussureggianti giardini. Ma può significare anche il vincolo a ineluttabili schemi cristiano-borghesi, una quotidianità nei panni della serva di chiunque, dal suocero vecchio e malandato - ma in fin dei conti sano come un pesce - al marito sempre assorbito dalla propria carriera, ai tre gelidi figli in continuo conflitto per primeggiare l'uno sull'altro. La vita di Britt si è ridotta a questo. Una profonda insoddisfazione personale, un latente desiderio di fuga e molte domande su una certa occasione che in passato ha mancato di cogliere, la spingono a interrogarsi sulla donna che è realmente, o che avrebbe potuto essere se non avesse scelto di apparire come "moglie di", "madre di", "nuora di". Facendo proprio lo sguardo estraniato e lucido della protagonista, Hélène Lenoir lascia abilmente affiorare la trama di indifferenza e di egoismo che intesse la "normalità" di un tranquillo clan familiare.